SUPPORTO ALLA PERSONA
In alcune fasi della nostra esistenza, ci capita di vivere cambiamenti impegnativi, relazioni difficili, esperienze delicate che non riusciamo ad affrontare adeguatamente da soli. Chiedere aiuto è allora un gesto coraggioso che denota saggezza, umiltà e desiderio di mettersi in gioco. Insieme allo psicologo, sarà più semplice individuare i motivi di disagio e attivare o potenziare le risorse personali utili a trasformare le esperienze critiche in opportunità di crescita.
Il giudizio è il nostro peggior nemico
Sciogliere la convinzione che sia disdicevole chiedere aiuto, che solo i “matti” o i deboli abbiano bisogno di un sostegno è un primo grande passo per rendere meno faticoso il processo di risoluzione di una crisi. Per ammettere che abbiamo diritto di scoprire la presenza, dentro di noi, di risorse e potenzialità che non sempre riusciamo a riconoscere, ad attivare. Un aiuto al momento opportuno è come un potente riflettore che rende visibile ciò che fino a poco prima era disperso nel buio dell’inconsapevolezza.
Un’altra convinzione da sfatare è che vita sia un processo lineare: non lo è, mai, per nessuno. Le battute di arresto sono fisiologiche: abbiamo diritto e bisogno di fare errori per apprendere e trovare la via di casa. Esitiamo, esultiamo, cadiamo, ci facciamo male e ci rialziamo, a volte arretriamo per poi prendere la rincorsa, fare balzi in avanti, toccare il cielo con un dito, riprendere un’andatura più regolare.
Lungo la strada che percorriamo, è del tutto normale incontrare bivi e incroci, che rendono difficile orientarsi, privi come siamo di un navigatore satellitare interno che ci indichi il percorso più veloce per arrivare a destinazione. A volte ci troviamo di fonte a delle vere e proprie sliding doors che ci invitano a scegliere, a prendere una direzione che ci porterà inevitabilmente guadagni e perdite, piaceri e dolori.
Avere in mente questa visione di insieme (nulla è perfetto, nulla è irreversibile, nulla è per sempre, bene e male sono facce di una stessa medaglia), ci permette di non attribuire etichette alle esperienze, catalogandole come positive o negative, giuste o sbagliate, successi o fallimenti, fonti di lode o biasimo. Incasellare sostiene la nostra tendenza a sviluppare attaccamento per ciò che ci dà piacere, che rafforza un’immagine di noi lusinghiera e spendibile e percepire avversione per ciò che ci disturba, ci dispiace, ci fa sentire inadeguati o colpevoli.
La nostra attenzione si sposterà così, sempre di più, dalla modalità dell’essere (come mi pongo nei confronti delle esperienze, cosa vivo, di cosa ho veramente bisogno), alla modalità del fare e l’illusione del controllo ci esporrà alle intemperie della disillusione (no expectations, no disappointment, recita un motto che trovo molto saggio).
Da questo punto di vista, imparare a stare con quello che accade, mentre accade, qualunque cosa sia, in modo intenzionale, con gentilezza, accoglienza e curiosità, può essere un’opportunità capace di donarci consapevolezza e centratura. La Mindfulness e la terapia basata sulla compassione (CFT), che integro nel lavoro psicologico, offrono proprio questa possibilità, ci educano a porci come osservatori consapevoli non solo degli eventi esterni, ma anche di quelli interni (sensazioni, emozioni, pensieri), imparando a riconoscerne la natura e a discernere fra reattività e libera scelta. Ci insegnano in fondo a diventare i navigatori satellitari di noi stessi.